Go to Top

Campi elettromagnetici (CEM)

La popolazione e i lavoratori sono esposti a campi elettromagnetici prodotti da una grande varietà di sorgenti che utilizzano l’energia elettrica a diverse frequenze: questi campi, la cui intensità può variare nel tempo, occupano lo spettro delle basse frequenze (comprese tra 0 Hz e 300 GHz) che si estende dai campi statici fino alle radiazioni infrarosse: poiché i fenomeni di ionizzazione del mezzo interessato dai campi (normalmente l’atmosfera) sono trascurabili, le radiazioni associate a queste frequenze sono chiamate “non ionizzanti” o NIR. 

Contrariamente alle radiazioni ionizzanti, per le quali il contributo delle sorgenti naturali rappresenta la porzione più elevata dell’esposizione che interessa la popolazione, per le NIR le sorgenti di campi elettromagnetici realizzati dall’uomo tendono ormai a prevalere sulle sorgenti naturali: in alcune parti dello spettro di frequenza, come quelle utilizzate per la distribuzione dell’energia elettrica o per la radiodiffusione, i campi elettromagnetici prodotti dall’uomo sono infatti molte migliaia di volte superiori a quelli naturali prodotti dal Sole o dalla Terra.

La causa principale è l‘aumento del consumo di energia elettrica da un lato e lo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione dall’altro: tra le principali fonti di campi elettromagnetici vi sono, infatti, i sistemi di generazione, trasmissione, distribuzione e utilizzazione dell’energia elettrica a 50 Hz, i sistemi di trazione ferroviaria e di trasporto pubblico e i sistemi di telecomunicazione (trasmettitori radiofonici e televisivi, stazioni radio base per telefonia mobile, ecc. che interessano frequenze più elevate, dell’ordine dei MHz).

Vi sono poi anche altre fonti di campi elettromagnetici di bassa intensità, come quelli prodotti da apparecchiature domestiche (forni a microonde, televisori, videoterminali, asciugacapelli, ecc.) o industriali (azionamenti elettrici, apparecchi a induzione, automobili elettriche, ecc.).

L’insieme di tutte queste fonti contribuisce a determinare un’esposizione diffusa (per la quale è stato creato il termine “elettrosmog”) il cui valore dipende non solo dall’intensità dei campi generati, ma anche dalla distanza dalla sorgente, poiché l’intensità dei campi prodotti diminuisce rapidamente con la distanza.

Effetti nocivi delle radiazioni non ionizzanti

Occorre innanzitutto premettere che:

  • Il campo elettromagnetico intorno a una sorgente sussiste soltanto finché la stessa è accesa;
  • La distribuzione della sua intensità nello spazio è, in molti casi, prevedibile per via teorica con ragionevole accuratezza e non risente apprezzabilmente dei fenomeni meteorologici;
  • Non vi sono evidenze di “accumulo di campi elettromagnetici” negli organismi biologici.

La valutazione dei possibili rischi sanitari conseguenti l’esposizione alle NIR è un processo complesso per il carattere multidisciplinare del tema, come testimoniato dal gran numero di pubblicazioni scientifiche disponibili, molto eterogenee e quasi sempre non esaustive.

Proprio per questo, oltre alle valutazioni di singoli ricercatori o di gruppi specialistici in una determinata disciplina, assumono particolare rilevanza le valutazioni espresse da commissioni interdisciplinari, anche perché in queste sedi confluiscono competenze diverse: biologiche, mediche, epidemiologiche, fisiche e tecnologiche. Tra questi: i gruppi di studio costituiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dalla Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (ICNIRP).

L´analisi delle diverse fonti mostra una sostanziale convergenza delle loro conclusioni sugli effetti nocivi riconosciuti, che sono:

  1. Elettrostimolazione delle cellule eccitabili dei nervi e dei muscoli;
  2. Riscaldamento dei tessuti.

L’esposizione dell’uomo ai CEM è legata direttamente ad alcune grandezze che subiscono, per effetto dei campi, variazioni all’interno del corpo umano. Queste, definite “grandezze interne”, sono:

  • La corrente indotta che circola nei tessuti del capo e del tronco (espressa in mA/m²), che si manifesta in particolare con il primo intervallo di frequenze;
  • La sovratemperatura corporea causata dalla potenza assorbita per unità di massa (SAR, espresso in W/kg) tipica del secondo intervallo;
  • L’innalzamento della temperatura corporea (riscaldamento dei tessuti più superficiali del corpo) legato alla potenza assorbita per unità di superficie ed espresso in W/m² per le frequenze più alte.

Criteri adottati per la definizione dei valori limite

I valori dei campi elettromagnetici da non superare per evitare effetti nocivi sono definiti in base alle grandezze biometriche sopra descritte (corrente circolante nei tessuti, SAR e potenza assorbita per unità di superficie), che non devono in nessun caso superare i “valori limite di esposizione”.

Tuttavia una strategia prevenzionistica basata sulla verifica del rispetto di questi valori appare difficilmente percorribile per le difficoltà pratiche connesse alla loro misurazione: infatti, le misure dirette sull’uomo richiederebbero sonde invasive, mentre le misure su fantocci o simulatori sono possibili solo in laboratorio.

Pertanto il monitoraggio su larga scala si avvale di modelli teorici e sperimentali che correlano i “valori limite di esposizione” alle grandezze radiometriche che caratterizzano l’ambiente in cui avviene l’esposizione in assenza del soggetto esposto, facilmente misurabili con una strumentazione relativamente poco costosa e disponibile sul mercato:

  • Intensità di campo elettrico “E”;
  • Intensità di campo magnetico “H”;
  • Densità di potenza “S”.

Per ciascuna di queste grandezze sono stati quindi definiti i cosiddetti “valori di azione”: in pratica, se in un determinato ambiente lavorativo si misurano in campo imperturbato, cioè in assenza dei soggetti esposti la cui presenza potrebbe distorcere le letture, valori inferiori ai “valori di azione”, e sempre se questi sono stati correttamente definiti, in nessuna circostanza l’esposizione determinerà il superamento dei “valori limite di esposizione” (i veri limiti su cui si basa la strategia prevenzionistica).

Quest’approccio è ben esplicitato nei “considerando” della direttiva 2004/40/CE:

«… è opportuno che un sistema di protezione contro i campi elettromagnetici si limiti a definire, senza entrare in eccessivo dettaglio, gli obiettivi da raggiungere, i principi da rispettare e le grandezze fondamentali da utilizzare, al fine di permettere agli Stati membri di applicare le prescrizioni minime in modo equivalente».

Si fa rilevare da ultimo come nella definizione dei valori di azione non compaia il fattore “tempo di esposizione” del soggetto esposto, diversamente da altri rischi fisici (es. rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti): la strategia prevenzionistica impostata prescinde, infatti, dalla dose assorbita e il superamento dei valori di soglia rilevati in assenza di persone è di per sé condizione sufficiente a determinare la necessità d’interventi di prevenzione e protezione.